Nelle settimane che hanno preceduto la partenza del Giro d’Italia del Centenario, la celebre frase, è stata proposta moltissime volte,
principalmente ad infiorettare trasmissioni televisive, articoli di giornale, pagine web.
Mai una volta, in quelle frettolose e sciatte esternazioni i, ho ritrovato la poesia e la fascinazione
che il racconto di quella radiocronaca, letto molti anni dopo i fatti, aveva suscitato in me.
Ho cercato quell’articolo di giornale, ma non riesco a trovarlo, allora provo a riassumerlo per voi.
Il mio scritto non varrà un centesimo di quello che ebbi la fortuna di leggere io, ma spero potrà restituire una piccola parte del valore
che quella radiocronaca e quell’avvenimento ebbe.
Siamo nel 1949, Le persone si sono arrampicate, fin dalle prime ore della mattina, a piedi, in bicicletta e i più fortunati in Lambretta,
su per le strade militari delle Alpi Cozie, teatro della tappa Cuneo-Pinerolo.
Sulla cima del colle il radiocronista è nella sua postazione, dalla quale domina la strada sottostante, con gli innumerevoli tornati.
Vi è giunto in motocicletta, precedendo i corridori di alcune decine di minuti. Poco o nulla sa degli avvenimenti della corsa.
Finalmente dalla postazione, lontano nella valle, scorge un movimento, meglio la polvere che le auto al seguito dei corridori sollevano.
La folla abbandona le improvvisate mense dove salame, coppa, pane casereccio e rude barbera vengono condivisi.
Il movimento si avvicina e finalmente il radiocronista, scorge qualcosa, laggiù, lontano e riporta agli ascoltatori:
Un uomo solo al comando
Passano i minuti, il corridore sale, scompare e ricompare lungo la strada, si avvicina, la sua figura si ingrandisce, ma il radiocronista tace,
questa è un’epoca in cui non si spreca nulla, nemmeno le parole, e il suo silenzio è un tributo alla fatica.
Finalmente la figura è più chiara, ancorché il corridore irriconoscibile e dice:
La sua maglia è biancoceleste
Già nella mente del radiocronista e in quella degli innumerevoli radioascoltatori, ricorre il nome, che però nessuno ancora pronuncia,
per una sorta di pudore, per rispetto, per amore, perché è giusto così.
Ancora qualche decina di metri, il corridore è riconoscibile, la frase liberatoria :
il suo nome è Fausto Coppi.
Di quella mitica tappa, potrete trovare moltissimo sul web e nella libreria (meglio quest’ultime)
La parole più belle sono di Dino Buzzati:
http://www.ascuoladigiornalismo.loescher.it/Assets/Pages/Materiali/CartaStampata/DinoBuzzati.html
Qui il pezzo più noto:
Era lurido di fango, la faccia grigia di terra e immota nello sforzo.
Pedalava pedalava come se qualche cosa di orrendo gli corresse dietro e lui sapesse che a lasciarsi prendere ogni speranza era perduta.
Il tempo, null’altro che il tempo irreparabile gli correva dietro.
Ed era uno spettacolo quell’uomo solo nella selvaggia gola in lotta disperata contro gli anni
Il campionissimo scompare nel 1960, io sono del 58, ma ancora per tutta la mia infanzia,
quando si lanciava lo sprint con le nostre bici con ruota da 18 pollici, il primo e solo il primo gridava COPPIIII!!!
Se leggete una biografia di Coppi ci troverete tutto: il campione, la guerra e il dopoguerra, l’amore, lo scandalo, l’amicizia, l’agonismo, la rivalità, la fatica, l’agonia più partecipata dalle folle fino ad allora, il mito e la leggenda.